Qui, in questi paesi di crinale dove l’inverno è lungo e i ritmi sono ancora dettati dalla natura, il Poverello Bianco è più di un alimento: è parte integrante dell’identità locale.
Coltivato su piccole parcelle di terra, con semi tramandati di mano in mano, non ha mai ceduto alla logica della resa o alla pressione del mercato. È rimasto fedele al territorio e alla memoria.
La Comunità Slow Food del Fagiolo Poverello Bianco del Pollino nasce proprio per questo: per tutelare un patrimonio di biodiversità, sapori e saperi. Il lavoro della comunità è capillare: recupero delle sementi, diffusione delle tecniche tradizionali, promozione di eventi sul territorio e coinvolgimento delle giovani generazioni.
Ogni coltivatore racconta il suo rapporto con il fagiolo come fosse un legame di sangue.
C’è chi lo semina seguendo il calendario lunare, chi lo cucina solo nei giorni di festa, chi ne conserva i semi come si fa con le reliquie. E c’è chi ha scelto di restare – o tornare – in queste terre proprio per coltivarlo.
Nelle cucine del Pollino, il Poverello Bianco è protagonista di zuppe dense, piatti poveri ma carichi di storia, spesso accompagnati solo da olio extravergine e pane casereccio.
Ma oggi comincia ad affacciarsi anche in cucine creative, segno che la tradizione può dialogare con l’innovazione senza snaturarsi.
Raccontare il Poverello Bianco significa raccontare una resistenza silenziosa ma potente: quella di una montagna che non vuole dimenticare le sue radici. E di una comunità che, attraverso un piccolo legume, difende un intero ecosistema culturale e agricolo.





