Piemonte | ITALIA

Patate Walser, radici di memoria e futuro in Val Formazza

Dalla diffidenza del Cinquecento alla rinascita di un patrimonio agricolo alpino: il Consorzio della Patata Walser tutela varietà antiche e un pezzo di cultura comunitaria.

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Patate Walser, radici di memoria e futuro in Val Formazza

Dalla diffidenza del Cinquecento alla rinascita di un patrimonio agricolo alpino: il Consorzio della Patata Walser tutela varietà antiche e un pezzo di cultura comunitaria.

Dopo lunghi viaggi nelle stive delle navi, le patate giunte in Europa a fine Cinquecento incontrarono, come ogni prodotto straniero, diffidenza e rifiuto.
Il tubero dall’aspetto poco invitante entrò gradualmente a far parte della dieta soltanto nel Settecento.

Per le comunità alpine divenne cibo provvidenziale e simbolo culturale.

In particolare per i Walser, popolo originario dell’Alto Vallese che colonizzò anche la Val d’Ossola e la Val Formazza. Ma cosa significa davvero coltivare in montagna? Una domanda a cui può rispondere solo chi vive quotidianamente questi territori, dove bellezza e durezza si intrecciano.

Un esempio arriva da Dionisio Imboden e Dario Piumarta, produttori del Consorzio della Patata Walser di Formazza, che da anni custodisce tre varietà locali: Formazza, Walser e Occhi Rossi. Tutto nasce nel 2011, quando l’agronomo Giovanni Guarda assaggiò per caso un piatto di gnocchi in Val Formazza. Volle scoprire l’origine di quei tuberi e trovò la signora Anna Della Ferrera, che da generazioni conservava piccoli esemplari, anche se ormai indeboliti da virosi. Con l’aiuto della Dott.ssa Luisa Andrenelli dell’Università di Firenze iniziò allora un lavoro paziente: sanificare le patate in laboratorio e restituire alla valle semi virus-esenti. In questo modo la tradizione ha potuto rinascere, trasformandosi in futuro.

Oggi però coltivare in montagna significa affrontare sfide nuove. Malattie come peronospora, dorifora, popillia japonica e scabbia colpiscono anche a 1500 metri di altitudine. I raccolti si riducono, i terreni sono pochi e in conflitto con pascoli e fienagione, mentre i coltivatori rifiutano i trattamenti chimici che comprometterebbero la fertilità dei suoli. In passato, per necessità, molte famiglie sostituirono le varietà antiche con altre più redditizie come Desirée o Kennebec.

Oggi invece i custodi scelgono le patate walser per preservare una storia.

Coltivare varietà antiche non significa guadagno, ma custodire identità e biodiversità Il lavoro continua anche grazie all’Istituto Agrario Fobelli di Crodo, che si occupa della micropropagazione delle plantule sane. Servono tre anni di laboratorio per garantire tuberi ottimali: senza questo sostegno, la memoria agricola rischierebbe di spegnersi. Dal punto di vista organolettico le tre varietà raccontano gusti unici: la Formazza, rossa a pasta gialla, ideale per gnocchi; la Walser, bianca a pasta semi gialla, perfetta lessata; la Occhi Rossi, dalla buccia rossa, adatta alla frittura. La semina e la raccolta sono ancora fatte a mano, i campi concimati con letame e alternati con segale e grano saraceno. A queste varietà Piumarta ha aggiunto anche patate di altre comunità alpine e svizzere: la Lautebrunnen, la Frühe Prättigauer, la Safier, la Fläker, la Cerisa, la Blu di San Gallo, fino alla più recente Rote Emmalie, dalla polpa rossa brillante.

Ogni tubero è un frammento di paesaggio, un racconto agricolo che resiste alla globalizzazione.

Assaggiare queste patate significa comprendere che la natura non conosce monotonia. Anche la loro “stranezza” visiva è un invito a superare i pregiudizi: perché anche una patata ha il diritto di raccontare la sua storia.

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