Si dice che la prima volta non si scorda mai… ed è proprio quello che mi è successo circa due anni fa su Islay, una piccola isola della Scozia che sembra un mondo a parte già dal traghetto.
Per un’appassionata “whiskofila” come me è senza alcun dubbio un viaggio che ti entra dentro, da fare e da ripetere (come poi è accaduto a distanza di pochi mesi!). Ma andiamo per ordine, perché parlare di Islay è sempre emozionante… la pronuncia prima di tutto. Si pronuncia “aila”: l’isola è circondata da una costa frastagliata dalle potenti onde dell’oceano, a soli 40 km dalle coste dell’Irlanda.
Secondo alcune leggende, il whisky sarebbe nato proprio su Islay e si dice che la prima distillazione sia stata opera di monaci irlandesi, sbarcati sull’isola attratti dalle sue caratteristiche climatiche e dalla massiccia presenza della torba nelle zone paludose. Il whisky prodotto su Islay è un whisky che rispecchia le caratteristiche dell’isola: wild, forte, unico. Qui il “terroir” costituisce la parte viscerale del distillato.
Il whisky di Islay sa davvero di oceano, inondato dalla torba iodica e marina.
Le note salmastre, che caratterizzano la vera tipicità e il carattere dell’isola, sono rafforzate dal vento spesso irruente dell’oceano, che penetrando nei magazzini ricopre di salsedine le botti. Così i whisky in maturazione assimilano l’habitat che li circonda: un territorio ancora in parte selvaggio, composto da torba acquosa marina e contraddistinto dal verde rassicurante della natura. La condizione climatica di Islay è unica al mondo e l’espressività del whisky che ne deriva porta con sé un vero e proprio imprinting di torba salmastra, rendendola sovrana.
L’identità comune delle distillerie dell’isola è fatta di torba, sapidità, brezza marina e un profilo organolettico talvolta sfacciato e manesco, che non chiede permesso ma entra in scena con la forza di un’onda atlantica. Uno “spirito” in cui si trovano note iodate di alghe, tocchi medicinali, ricordi di braci e combustione.
C’è una distilleria che io adoro particolarmente: Kilchoman, che ha dedicato vari imbottigliamenti all’incantevole spiaggia Machir Bay, non adatta ai deboli di cuore.
Kilchoman è una farm distillery situata sulla costa occidentale e la loro filosofia è 100% Islay: seguono tutto il processo produttivo, dalla coltivazione dell’orzo alla distillazione, fino alla maturazione e imbottigliamento. L’orzo viene coltivato presso la Rockside Farm, adiacente alla distilleria, e maltato utilizzando il pavimento di maltaggio della stessa.
Torno in Italia e, da amante dei pairing anche imperfetti e spettinati, una sera — in un mood un po’ proustiano — mi sono “riconnessa” a Machir Bay, degustando un dram iconico di Kilchoman insieme a qualcosa di territoriale, tipico della regione che mi ospita da decenni: sua maestà il Parmigiano Reggiano. Così mi è venuto in mente un caseificio che avevo visitato prima del viaggio: il Caseificio Parma2064, produttore di Parmigiano Reggiano DOP nel cuore dell’Emilia. La cooperativa gestisce ogni fase della produzione, dalla mungitura alla stagionatura. Ogni forma da 40 kg è marchiata con il numero “2064”, identificativo assegnato dal Consorzio del Parmigiano Reggiano.
Prendo qualche pezzetto del 24 mesi, mi approccio, annuso e assaggio…
Poi un po’ di Kilchoman Machir Bay, per sentire come interagiscono, cosa succede a livello palatale e soprattutto quali emozioni riescono a trasmettere. Il parmigiano, dal buon impatto olfattivo in cui prevalgono le note lattiche, arricchite da fiori gialli e frutta fragrante, riesce a danzare in maniera pop con il whisky torbato. Il salato incontra l’umami, il fumo si intreccia con la dolcezza del latte stagionato.
È un abbraccio ruvido e diretto, non subito accogliente ma che ti ricordi. Mi prendo il mio tempo e assaporo tutto. Perché in fondo, come diceva il sergente Donowitz in Bastardi senza gloria: “C’è un girone speciale dell’inferno per chi spreca un buon scotch.”
E io aggiungerei: “anche per chi lascia indietro un gustoso pezzetto di Parmigiano.”







