Ciò che cuciniamo e condividiamo contribuisce a plasmare la nostra percezione del mondo e le nostre relazioni sociali. Vito Teti, antropologo e autore de “La restanza”, afferma: “La casa prende forma anche attraverso il cibo che coltiviamo, che cuciniamo, che ci lega a dei ricordi. L’esperienza del cibo forma la mentalità, la percezione del mondo, la memoria umana. Se, ad esempio, penso alla mia ‘autobiografia alimentare’, la mia esperienza del ‘mangiare’ descrive un arco che va dal cibo locale della mia infanzia ai consumi alimentari del periodo del boom economico e dei decenni successivi, fino ad arrivare a quelli del tempo presente. Il cibo che abbiamo conosciuto e la relativa memoria consentono andate, ritorni, restanze, recuperi di persone, luoghi, culture, pratiche alimentari del passato”.
Partiamo da questo contributo per riflettere sul rapporto tra il cibo e la dimensione della contaminazione tra culture, poiché ciò che passa sulle nostre tavole domestiche rappresenta un patrimonio culturale in movimento. Secondo Teti, l’esperienza alimentare, che si sviluppa dal cibo locale dell’infanzia fino alle pratiche contemporanee, costituisce un percorso in cui i sapori diventano testimoni della nostra storia personale e collettiva.
Il cibo, per sua natura “nomade”, attraversa confini geografici e temporali come prodotto di contaminazioni tra culture, tradizioni e territori.
Come sottolineava l’antropologo statunitense James Clifford, le cucine tradizionali non sono entità statiche, ma il risultato di interazioni e trasformazioni continue. Tale visione viene integrata da Claude Lévi-Strauss, il quale ha evidenziato come il cibo non sia soltanto nutrimento, ma anche simbolo e linguaggio, capace di trasmettere valori e significati profondi.
Per Lévi-Strauss, il cibo diventa una forma di comunicazione simbolica, “l’atto del cucinare è un rituale che crea legami e trasmette conoscenze”, contribuendo a definire l’identità individuale e comune. Ad esempio, il modo in cui le società organizzano il pasto - dalla disposizione dei commensali alla sequenza dei piatti - rispecchia strutture sociali e relazioni di potere. In molte culture, le modalità di preparazione dei cibi e i rituali ad esse associati costituiscono momenti fondamentali di aggregazione sociale. Il banchetto è un’occasione in cui il pasto diventa un rituale collettivo, capace di rafforzare il senso di appartenenza e di trasmettere conoscenze condivise.
A riprova della non staticità del cibo, tra i tanti esempi di contaminazione presenti nella cucina italiana, pensiamo al couscous alla trapanese. Sebbene abbia origini nordafricane, in Sicilia, e in particolare nella zona di Trapani, questo ingrediente è stato integrato nella tradizione culinaria locale. La ricetta tradizionale prevede l’uso del couscous abbinato a pesce fresco, pomodori, mandorle, uvetta e una selezione di spezie che richiamano sia la tradizione araba sia quella mediterranea. Il risultato è un piatto che non solo delizia il palato, ma racconta una storia di scambi culturali, dove il sapore esotico del couscous si fonde con la ricchezza degli ingredienti siciliani, incarnando il dialogo tra tradizioni differenti.
Oppure la pizza Margherita che, pur essendo un piatto simbolo della tradizione partenopea, ha subito numerose influenze nel corso del tempo. La pizza infatti nasce da un incontro di elementi che appartengono a diverse tradizioni gastronomiche: l’impasto base trae origini dalla cucina mediterranea, mentre l’uso del pomodoro, introdotto in Italia dopo la scoperta delle Americhe, rappresenta una contaminazione diretta delle pratiche alimentari dei popoli precolombiani.
Il cibo è una carta d’identità come potente strumento di scambio e di costruzione di relazioni.
Condividere un pasto è un gesto universale che favorisce aggregazione e socializzazione rafforzando i legami tra persone. Anche l’antropologa Mary Douglas ha sottolineato come il cibo, nelle sue forme rituali e simboliche, giochi un ruolo chiave nel definire le regole sociali e nel mantenere l’ordine culturale, stabilendo un ponte tra il sacro e il quotidiano. Le scelte alimentari, i rituali legati al cibo e le tradizioni culinarie incarnano i valori, le convinzioni e l’identità di una determinata cultura. Il cibo viene impiegato per esprimere l’appartenenza a gruppi etnici o religiosi, celebrare festività e trasmettere valori alle nuove generazioni.
Anche Sidney Mintz, con le sue ricerche sullo zucchero e sul cibo nelle dinamiche coloniali, evidenzia come le pratiche alimentari siano strettamente legate a processi storici, economici e culturali. Secondo Mintz, nel suo celebre lavoro “Sweetness and Power”, lo zucchero non è soltanto un ingrediente dolce, bensì un bene che ha trasformato l’economia globale e le relazioni sociali. In origine, lo zucchero era un prodotto raro e costoso, appannaggio di élite aristocratiche. Tuttavia, con l’espansione del sistema coloniale, divenne un bene di massa, simbolo di modernizzazione e di crescente domanda di beni di consumo. Lo zucchero dunque diviene un simbolo di potere.
Per concludere, il cibo si rivela un elemento fondamentale per comprendere il modo in cui costruiamo e viviamo le nostre relazioni. Non si tratta soltanto di un atto meccanico di nutrizione, ma di un’esperienza multisensoriale e simbolica che unisce memoria, identità e relazioni sociali. Le nostre tavole diventano un laboratorio in cui le tradizioni culinarie incontrano un patrimonio culturale in continuo divenire, capace di rinforzare il senso di comunità e di apertura verso il cambiamento.