Essere vignaiolo, oggi, è un atto di responsabilità. Non solo verso la propria vigna, ma verso una comunità che in Italia conta oltre 1.800 soci, distribuiti da nord a sud, uniti da una filosofia comune: fare vino mettendoci la faccia, dal grappolo alla bottiglia. È questo lo spirito della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (FIVI), nata nel 2008 per dare voce a chi vive la terra ogni giorno e ne fa il fulcro del proprio lavoro e della propria identità.
“Il vignaiolo FIVI – spiega la presidente Rita Babini che Retrogusti ha incontrato in occasione dell’annuale Mercato dei Vini FIVI tenutosi a Bologna – è colui che progetta la vigna, la coltiva, vinifica le proprie uve e imbottiglia con il proprio nome. Non produce per conto terzi, ma costruisce una filiera verticale, trasparente, dove ogni passaggio racconta il legame profondo tra chi lavora e il territorio che lo ospita”. Una definizione semplice e potente, che restituisce al vino la sua dimensione artigianale, fatta di mani, di scelte e di tempo.
La FIVI non è soltanto una sigla: è un movimento culturale.
Nasce dal desiderio di tutelare un mestiere antico, spesso schiacciato tra burocrazia, logiche di mercato e modelli industriali. “Quando è nata – ricorda la presidente – non esisteva una voce dedicata ai vignaioli a filiera corta. Oggi siamo riconosciuti dal Ministero e partecipiamo ai tavoli istituzionali, portando un contributo concreto, basato sulla nostra unicità”.
Accanto all’impegno nazionale, la Federazione dialoga con l’Europa, come membro della Confederazione Europea dei Vignaioli Indipendenti, che riunisce 14 Paesi. Qui si discute di normative, sostenibilità e, soprattutto, di politiche capaci di proteggere l’artigianalità del vino. “L’Europa sembra lontana – sottolinea Babini – ma le sue decisioni incidono sulla quotidianità dei produttori: dagli incentivi agli investimenti, fino alle regole sugli OCM. È fondamentale esserci per difendere la nostra realtà di piccole imprese agricole”.
La FIVI è anche un mosaico di delegazioni territoriali, nate spontaneamente in base alle esigenze dei soci. In Emilia-Romagna, ad esempio, si contano tre delegazioni – Piacenza, Modena-Reggio Emilia e Romagna – mentre in Puglia e Campania si lavora su scala regionale. A tessere il legame con il pubblico ci sono poi i “punti di affezione”, oltre 400 tra enoteche e ristoranti che scelgono di raccontare i vini FIVI nelle proprie carte e nei propri menù.
Uno dei momenti più attesi dell’anno è il “Sabato del Vignaiolo”, evento diffuso che dal 2026, ci svela in anteprima la presidente, diventerà “Il Mese del Vignaiolo”: trenta giorni di incontri, degustazioni e racconti in tutta Italia.
“Abbiamo deciso di dilatarlo – spiega – per permettere a ogni delegazione di scegliere la data migliore, evitando sovrapposizioni e valorizzando la risposta del territorio”.
In questa rete viva, fatta di persone prima ancora che di aziende, si esprime la missione più profonda della FIVI: costruire consapevolezza. “Molti consumatori non sanno cosa significhi davvero essere vignaiolo indipendente. Per questo eventi e incontri pubblici sono fondamentali: aiutano a distinguere chi lavora la propria terra da chi si limita a imbottigliare o fare marketing”.
Sul fronte del mercato, la presidente non nasconde le difficoltà del momento. “Stiamo attraversando una tempesta perfetta: guerre, dazi, crisi dei trasporti, calo del potere d’acquisto e nuove normative sull’alcol. Tutto questo pesa su chi vive di agricoltura”. Eppure il vignaiolo resta fedele al suo ritmo, al tempo della natura. “Non possiamo cambiare vitigno perché va di moda, né ridurre il grado alcolico per inseguire una tendenza. Il nostro lavoro è accompagnare la maturazione dell’uva, non comandarla”.
Sul tema dei vini dealcolati, la posizione FIVI è chiara: sì alla libertà di produrli, no all’uso delle denominazioni d’origine.
“Il processo è talmente invasivo da snaturare il legame con vitigno e territorio. È giusto che il mercato si evolva, ma la tradizione e l’identità vanno tutelate”.
Infine, un richiamo alla sostenibilità totale, non solo ambientale ma anche economica e sociale. “Ogni ettolitro di vino prodotto da un vignaiolo indipendente impiega più persone e più tempo rispetto a un’industria. È un modo di fare impresa che sostiene i territori, preserva il paesaggio e trasmette cultura”.
In fondo, dietro ogni bottiglia con il logo FIVI c’è una storia di terra, famiglia e futuro. Un mondo che non cerca quantità, ma verità. E che continua, vendemmia dopo vendemmia, a difendere il valore più prezioso del vino: la sua umanità.








