Quando le braci del fuoco scoppiettavano, facendo uscire il fumo dalle pentole ricoperte di fuliggine, i nostri antenati creavano il gusto e l'aspetto della resilienza. Il ngunja gutu è un cibo che non si trova nei moderni libri di cucina.
È un cibo la cui ricetta è composta da ingredienti che hanno cantato e sussurrato alla terra e fatto piangere il cielo per la madre terra. Un cibo il cui incubo più grande era l'estinzione, ma che forse era solo un presagio. Questo perché il cibo tradizionale e sano è in bilico. Il vento del tempo sta lentamente cancellando l'esistenza di questo piatto nutriente e, se non viene documentato, di questo piatto che ha resistito alla prova dei tempi non resterà altro che i frammenti di un ricordo spezzato.
Se chiedete alla maggior parte delle persone se conoscono il ngunja gutu o se lo hanno assaggiato, le risposte varieranno da “Cosa? Che cos'è?” a “No, non ne ho mai sentito parlare” e “Non l'ho mai mangiato”, “È un tipo di cibo?” Insomma, un bel po' di confusione. Il ngunja gutu era famoso nel Kenya centrale. Era composto da fagioli, farina di mais, patate e foglie di zucca o qualsiasi altra verdura indigena.
Gli ingredienti costituiscono un pasto completo poiché contengono proteine, amido, vitamine e carboidrati. In pratica, un potpourri di bontà.
Il fatto curioso è che questo era considerato un piatto per i poveri. Si poteva essere biasimati per il solo fatto di consumarlo. L'ironia della sorte è che previene i casi di malnutrizione nelle comunità. La parte migliore della preparazione di questo piatto è che gli ingredienti sono facilmente reperibili. Possono essere coltivati liberamente proprio dietro le stalle, dove il letame degli animali garantisce una crescita organica, mentre il muggito delle mucche, il belato delle capre, il chiocciare dei polli e il grugnire dei maiali fanno da serenata alle colture in crescita. Oppure lungo il fiume, dove comunemente ci si riferisce al “ngurumo”.
Il piatto di per sé non ha nulla di estetico. È un piatto terroso e affumicato come pochi. Crudo come la madre terra voleva che fosse, il suo billet-doux per le generazioni future, in questi tempi turbolenti in cui l'insicurezza alimentare ci tiene con il fiato sospeso.
Ricetta: Preparazione del ngunja gutu
Ingredienti:
Farina di mais
Fagioli
Patate
Foglie di zucca o altra verdura locale
Sale
Acqua
Occorrente:
Fuoco
Pentola di cottura
“Mwiko” (bastone per la cottura)
Coltello
Preparazione:
Dopo aver procurato una quantità sufficiente di ingredienti in base al numero di persone, sbucciate le patate senza tagliarle, lavarle bene e metterle da parte. Assicuratevi che il fuoco sia pronto e mettete le patate a bollire.
Mentre aspettate che le patate raggiungano l'ebollizione, lavate bene le foglie di zucca per assicurarvi che non restino attaccati granelli o piccoli insetti e tagliatele a pezzetti con un coltello. Assicuratevi che i fagioli siano stati accuratamente separati dalla buccia, per evitare di consumare la “pietra scartata dai costruttori”. Puliteli e fateli bollire fino a quando non saranno morbidi, scolate l'acqua e metteteli da parte.
Infine dopo aver lessato le patate e i fagioli, in una pentola portare nuovamente l'acqua a ebollizione, aggiungete la farina di mais e mescolate fino a ottenere una pasta consistente, quindi aggiungete le patate, le foglie di zucca e i fagioli, con un pizzico di sale. Durante la cottura assicuratevi di schiacciare insieme gli ingredienti, per garantire che siano ben amalgamati e condividano un'unica anima.
Una volta fatto, togliete la pentola dal fuoco e mettetela da parte.
Sono fermamente convinta che documentando il piatto, facendo circolare le informazioni su di esso e insegnando alle persone le modalità di preparazione e i benefici nutrizionali, saremo in grado di salvare l'ultima gloria di questo piatto indigeno. Così facendo, l'impronta dell'insicurezza alimentare si ridurrà enormemente, aumenterà la sovranità alimentare e si abbraccerà il piatto come il figliol prodigo che torna a casa. Il “quasi perduto” ngunja gutu tornerà nelle nostre cucine e sulle nostre tavole e sono sicura che i nostri antenati dall’aldilà ci sorrideranno e annuiranno riconoscendo di aver mantenuto vivo il loro sapere.