Ci voleva una buona dose di fantasia, se non proprio incoscienza, per avviare un vigneto a Venezia, la città dell’acqua. Ma ci volevano senza dubbio talento, immaginazione e spessore per tramutare questa scommessa in uno degli angoli più suggestivi di una città che lo è per definizione. Non solo. L’impresa è stata anche e soprattutto trasformare questo sogno in un’azienda che marcia a pieno ritmo e che produce migliaia di bottiglie l’anno espandendosi nella laguna. Un angolo di terra, vigne e cielo nell’Isola di Mazzorbo che attrae visitatori lungo tutto l’arco dell’anno.
Siamo a Venissa, un progetto di recupero vitivicolo e di ospitalità sostenibile nella parte più incontaminata della laguna di Venezia, che ospita un vigneto dalle cui uve si producono oltre 5.000 bottiglie l’anno di vino a base di dorona, vitigno a bacca bianca autoctono della Serenissima. Con esse, anche un’osteria, un ristorante stellato e un resort che attrae ospiti da tutto il mondo. In breve, una delle mete più esclusive di una città cui non mancano certamente attrattive e punti di interesse. La sua anima, Gianluca Bisol, un trevigiano che appartiene all’omonima dinastia di viticoltori di Valdobbiadene con oltre mezzo millennio di attività alle spalle, la concepisce quasi per caso all’alba del nuovo millennio. Ma mettiamo un po’ d’ordine.
Fin dall’infanzia, Gianluca è coinvolto dal padre nell’attività della cantina di famiglia, approfondendo in particolare la parte commerciale e di coinvolgimento dei clienti, senza trascurare la produzione assorbita quasi per osmosi dai due zii che gli trasmettono la passione per l’agricoltura e la viticoltura da un lato e la produzione del vino dall’altra. Ogni estate il lavoro in cantina è per lui un refrain che gli permette di costruirsi una conoscenza che va al di là dell’esperienza commerciale o produttiva. Una scuola di vita che è in grado di creare quella simbiosi con la terra che ogni produttore di vino dovrebbe avere.
Eppure, non è quello il principale talento che si riconosce, ma è comunque qualcosa che lo completa come ammette lui stesso: “Io mi sono sempre dedicato all’aspetto commerciale, perché pensavo e penso che l’azienda non è solo un posto in cui si produce una merce, ma è anche un “luogo di esperienza” per chi ama il nostro prodotto; le esperienze emozionali in degustazione le ho introdotte 35 anni fa, quando nessuno neanche immaginava quanto sarebbe diventato importante l'enoturismo, aprendo la cantina agli appassionati la domenica con visite guidate e degustazioni complete”.
Una famiglia e un marchio legato indissolubilmente a Valdobbiadene e al Prosecco Superiore quello dei Bisol.
Gianluca ha assistito e contribuito al momento del suo massimo, impetuoso sviluppo, facendone uno degli spumanti più ricercati e commercializzati al mondo. Una svolta figlia della tecnologia. Ancora negli anni ’80 era largamente diffuso l’imbottigliamento semi automatico, per cui la componente di ossigeno non poteva essere rimossa del tutto e ciò creava le condizioni per un precoce invecchiamento del vino. Prendendo spunto da quello che facevano i produttori di vini bianchi longevi, è proprio lui a spingere l’azienda di famiglia a utilizzare una macchina di imbottigliamento automatica in grado addirittura di garantire la cosiddetta pre-evacuazione dell’ossigeno: “Questo ha aperto le porte al Prosecco Superiore nel mondo perché gli ha permesso di avere una vita molto più lunga, internazionalizzarsi e arrivare in tutti i mercati del globo. Oggi parliamo di degustazioni verticali di prosecco anche di 10 anni, cosa impossibile un tempo”.
Come nasce nella testa di un uomo di collina che in essa affonda la propria sapienza e conoscenza della terra, oltre che parte di una tradizione familiare ultrasecolare, l’idea innovativa di rilettura dell’industria del vino nel terreno più insospettabile, ovvero la Laguna? E’ lui stesso a ricordarlo: “Era il 2001 ed ero a Torcello. Uscendo con questi miei amici americani dalla Basilica notai con occhio più attento quello che c’era di fronte a me. intravidi dietro un cancello di una tipica casa veneziana una vigna e chiesi al vicino di casa informazioni in merito. Da qui e dalla conoscenza di Nicoletta e Gastone, due veneziani che ancora ne perpetuavano il “culto” coltivandola, nacque la mia conoscenza della dorona. Il vigneto originario di Venezia che ancora e sempre grazie a loro trapiantai nel terreno del Comune di Venezia datomi in concessione ove oggi sorge Venissa. Era un ettaro al principio. Oggi ne abbiamo tre”.
I primi tempi non sono stati semplici. Il progetto di riscoperta e trapianto di un vigneto in un contesto così delicato e complesso è stato un percorso accidentato, sia pure con delle scoperte sorprendenti, come la possibilità di ricreare la dorona in ambiente lagunare anche per la composizione del terreno dell’Isola di Mazzorbo, meno sabbioso di quello delle colline di Valdobbiadene. Venissa è stata ed è anche questo: un’eterna sfida agli stereotipi e ai luoghi comuni che di certo escluderebbero a priori di avviare un vigneto in mezzo all’acqua salmastra lagunare resa celebre dalle righe di Hemingway.
Oggi la nuova sfida per Bisol si chiama Fattoria di Venezia, nell’isola di Mazzorbetto.
Cinque ettari rilevati con la volontà di reimpiantare coltivazioni originarie lagunari: “Sono 7 anni che faccio ricerca storica sulle coltivazioni che si facevano a Venezia originariamente e siamo riusciti a individuarne 60. Ora le reimpianteremo creando dei quadri composti dalle coltivazioni della Serenissima in un percorso che sarà anche una testimonianza a cielo aperto. Prevediamo l’apertura al pubblico nel 2026”.
Venissa rimane un felice esperimento di innovazione nella tradizione capace di far cogliere appieno come l’Italia sia un microcosmo unico in cui storia, bellezza e talento emergono nel presente e possono congiungersi e coniugarsi in un’infinita gamma di sapori, sensazioni ed emozioni che si traducono nel nostro bene più prezioso: la cultura.