Haute-Savoie | FRANCIA

Il gringet e Dominique Belluard

Un vitigno poco diffuso e un viticoltore la cui prematura scomparsa ha decretato la fine della sua produzione e l’inizio del mito. Nascono così i “vini unicorno”.

Haute-Savoie | FRANCIA

Il gringet e Dominique Belluard

Un vitigno poco diffuso e un viticoltore la cui prematura scomparsa ha decretato la fine della sua produzione e l’inizio del mito. Nascono così i “vini unicorno”.

Ogni volta che si parla di vino si finisce per raccontare sempre, almeno, due storie: quella del vitigno e quella del suo demiurgo, il produttore. Per introdurre i protagonisti di questo racconto trovo difficile allontanarmi da questo inciso scritto da Jason Wilson, giornalista tra gli altri del New York Times che su di loro così si espresse:

“E allora? Come si fa a bere un vino come questo - conoscendo la tragedia che lo sottende, capendo che si sta bevendo una delle ultime bottiglie che esisteranno - senza un po' di gratitudine e di autoriflessione? Un vino come questo è più profondo della sua oscurità, della sua scarsità o di qualsiasi altra cosa di cui la gente si vanta quando insegue i cosiddetti vini unicorno. Come si onora il privilegio di bere una bottiglia come questa?”.

Più si percorrono sentieri poco battuti più di sovente trovo sia facile incappare in storie che fanno sorgere in noi eno-appassionati questo tipo di domande e riflessioni, tra sogni di gloria spezzati da un mercato poco attento alla valorizzazione del non canonico, ali tarpate dai demoni introversi di produttori particolarmente sensibili o da vanità di avanguardia incomprese.

Vitigno a bacca bianca autoctono della Haute-Savoie nella Vallée de l’Arve in Francia.

Ma torniamo a noi e ai nostri due personaggi. Il primo è il gringet. Di media maturazione e particolarmente fragile in quanto molto suscettibile alle malattie fungine come l'oidio e soprattutto la peronospora. 

Dal gringet si ottengono vini bianchi leggeri e acidi  con aromi sussurrati di mele secche e prugne gialle, che sono principalmente utilizzati per i vini spumanti. La varietà contava nel 2021 circa 22 ettari di vigneti dichiarati dei quali ben 11 appartenevano al secondo protagonista di questo racconto: Dominique Belluard, vignaiolo classe 1960 che dal 1986, anno della prima vendemmia, al 2021, anno in cui è tragicamente mancato, ha dedicato la sua vita alla tutela, cura e valorizzazione di questo fragile vitigno. Metodi in vigna rispettosi, biodinamico non certificato a partire dagli anni 2000 e vinificazioni con lieviti indigeni ed uova di cemento completavano la magia, trasformando i succhi di quest’uva forse un po’ troppo timida e debole in autentici capolavori.

Ciò che colpisce e lascia ammaliati è la maestria di Dominque Belluard nel raccontare vigna e territorio senza manie di protagonismo.

Vini, tutti, che parlano del suolo che ha nutrito le vigne di cui sono figli. Ed è così che ne “Le Feu” emergono le note sulfuree di polvere da sparo e ruggine, figlie delle argille rosse. Ne “Les Alpes”, vero capolavoro, emergono i toni floreali tenui di stella alpina affiancati dagli sbuffi minerali dati dai fossili giurassici presenti nel suolo formato da ghiaia calcarea del massiccio Chablais, morena glaciale e marna. Negli spumanti, “Les Perles du Mont Blanc”, “Ayse Brut” e “Mont Blanc”, il fil rouge è sicuramente l’acidità scattante ed i rimandi verdi di mela e agrume. L’identità è ancora da ricercare negli spunti rocciosi e minerali che, di volta in volta, a seconda delle parcelle utilizzate vanno a comporre lo scheletro del vino e a costruirne l’architrave che sorregge la magra polpa.

I vini di Dominique, a mio modo di vedere, erano autentici unicorni. Sempre originali, sottili ma non banali, sussurranti ma non muti, eterei senza essere anonimi, rarefatti ma puri, come l’aria che si respira in alta montagna: sempre capaci di colpire con la loro sferzante acidità e mineralità i sentimenti più che il palato.

Ahimè, come tanti grandi artisti ci si è accorti troppo tardi dell’incredibile talento andato perduto con la sua prematura scomparsa, ma forse, proprio nella disperazione e nella tristezza di sottofondo, si annida una parte integrante di questa storia affascinante.

Ah, i vini unicorno sono forse vini per sentimentali con una predilezione verso la malinconia, sovente troppo cari e sempre in grado di lasciarti con quel finale di tristezza che ti assale dopo esserti emozionato per qualcosa che sai di non poter trovare più.

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