A Roma ottobre non è solo il mese delle prime foglie che cadono. È anche un ricordo collettivo: quello delle ottobrate romane, le gite fuori porta della Roma papalina, che tra il 1700 e 1800 trasformavano la città in un grande corteo festoso. Un fenomeno di costume che racconta molto del carattere romano e non solo: ottobre era il mese in cui la vendemmia si era appena conclusa e il vino nuovo cominciava a scorrere nelle botteghe ed osterie.
Il popolo romano, ma anche le famiglie borghesi e nobili, si metteva in cammino con le tipiche carrozze dell'epoca addobbate di fiori e nastri verso i Castelli Romani, Monte Mario, Monte Testaccio o le vigne che circondavano la città.
Nelle ottobrate romane il vino era il vero motore: segnava la fine della raccolta delle uve e l’inizio di un rito collettivo.
Dai Colli Albani fino a Frascati si svuotavano i filari, si riempivano le botti e nelle strade riecheggiava l'odore del mosto. Non era ancora il vino maturo che conosciamo oggi, ma un prodotto fresco, torbido, frizzantino, che i romani chiamavano “vino novello” o “vino de li Castelli”. Già allora nascevano vini destinati a restare nella storia: il Frascati, dal profumo delicato e dal gusto sapido, che ancora oggi accompagna la cucina romana; il Marino, il Montecompatri-Colonna e i Castelli bianchi.
Il vino nuovo non era solo piacere, ma un gesto comunitario: un brindisi che univa giovani e anziani, ricchi e popolani.
Evocare i grandi nomi della tradizione romana antica – il Falernum, il Cecubo, il Setino, l’Albanum – dava solennità a un rito che affondava le radici nella storia dell’Urbe.
I cronisti dell'epoca raccontano di una Roma che per un giorno si concedeva una sospensione, in cui le differenze sociali si attenuavano di fronte al piacere di stare insieme. Le ottobrate erano il simbolo di una Roma eterna e mutevole, che celebrava l’autunno e la generosità della terra con un calice di vino.