Calabria | ITALIA

Moscato di Saracena, tra storia e tradizione un tesoro enologico calabrese

Dall’antica tecnica del “governo” alla corte papale, il passito della Calabria che racconta secoli di cultura e sapori unici

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Moscato di Saracena, tra storia e tradizione un tesoro enologico calabrese

Dall’antica tecnica del “governo” alla corte papale, il passito della Calabria che racconta secoli di cultura e sapori unici

In provincia di Cosenza, sulle pendici meridionali del Pollino, il grande parco nazionale di 200mila ettari condiviso con la vicina Basilicata, fa mostra di sé un piccolo borgo, situato a 700 metri di altitudine, oggi di poco più di 3.000 abitanti, che affonda le sue origini negli Enotri, popolo italico che precedette la colonizzazione greca.

Il suo nome, Saracena, come accade per tanti altri vini dolci frutto del caldo Meridione d’Italia, è oggi indissolubilmente legato a questa tipologia enologica. Dopotutto, Enotria significa “terra del vino” e Moscato di Saracena richiama un unicum del panorama vitivinicolo italiano, sia per storia, sia per tipologia di produzione.

Le fonti storiche sull’utilizzo del Moscato di Saracena partono da Papa Pio IV, nella prima metà del 1500, il quale pare ne fosse un grande estimatore.

L’arrivo alla corte pontificia di tale vino fu opera del Cardinal Sirleto, calabrese e prefetto della Biblioteca Vaticana. Successivamente saranno i viaggiatori inglesi del primo ‘900, che visiteranno la Calabria, a parlare dei vini prodotti a Saracena. Nel 1975 Luigi Viola eredita un vigneto e decide di salvare dall’oblio il Moscato di Saracena. Interpellando le donne del luogo, Viola riuscì ad ottenere il protocollo di produzione del passito che era a quell’epoca tramandato esclusivamente per via orale, come spesso accade per tradizioni custodite gelosamente.

E a ragione, se si considera che il Moscato di Saracena, detto anche Moscato al Governo di Saracena, è uno di quei prodotti rari e preziosi, nato da una tecnica tanto peculiare quanto inedita, che richiama lavorazioni simili che punteggiano lo stivale da nord a sud, dal Vino Santo del Trentino alla Vernaccia di Serrapetrona, per finire col Passito di Pantelleria.

Suggestiva e particolare la sua produzione, che prevede l’utilizzo di diversi vitigni. Cinque, secondo la metodologia più tradizionale.

E due sono i passaggi distinti. Si comincia con la raccolta a settembre, una volta giunte a giusta maturazione, delle uve di moscatello e duraca (nome locale dello zibibbo, a sua volta moscato di Alessandria), che verranno poi messe ad appassire su graticci per 15-20 giorni. Nella prima settimana di ottobre, invece, si vendemmiano le uve malvasia bianca, guarnaccia e odoacra, il cui mosto è sottoposto a bollitura fino a ottenere una riduzione di volume di circa un terzo. Avvengono cioè due opere di concentrazione degli zuccheri: la prima per appassimento con perdita d’acqua, la seconda per cottura.

A questo primo doppio passaggio ne segue un secondo. Innanzitutto il mosto concentrato ha bisogno di essere raffreddato. Vi si aggiungeranno poi gli acini appassiti di moscatello e duraca dopo una attenta selezione e soprattutto dopo una soffice pressatura che molto spesso viene effettuata a mano. Il mosto così ottenuto inizia una lunga macerazione, al termine della quale fermenta naturalmente grazie all’azione di lieviti indigeni naturalmente presenti sulle bucce degli acini. Fermentazione che può avvenire sia in contenitori di acciaio che di legno, così come il successivo affinamento. Conseguenza di tale processo sarà anche l’aumento del tenore alcolico.

Il vino sarà del colore dell’ambra, con un naso intenso che volge verso sentori di miele, fichi secchi, datteri, albicocca disidratata, mandorle.

Al palato è sì dolce ma riesce a mantenere un proprio equilibrio con l’acidità. Ne conseguono finezza, eleganza ed una grandissima persistenza. Gli abbinamenti ideali sono con la pasticceria secca, i formaggi di media stagionatura ed i formaggi erborinati. Ma un nettare di questo tipo sarà indicato anche come vino da meditazione, in modo tale da scoprirne lentamente e pazientemente tutte le sfaccettature che ne fanno un prodotto di assoluto pregio che oggi è anche IGP e Presidio Slow Food.

Oggi il Moscato di Saracena è infatti una realtà di cui la viticultura calabrese può farsi vanto. E sono diverse le cantine e i produttori lungimiranti che, avendo compreso l’importanza e l’unicità di un vino di questo tipo, lo realizzano valorizzandone l’essenza. E tenendone viva una tradizione ultrasecolare. 

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